Mio padre non prende l’aereo.
Si rifiuta. Categoricamente. Proprio non ama l’idea di salire su tonnellate d’acciaio in un posto e, tempo una manciata di ore, trovarsi in un altro. “Ci pensi a tutto quello che perdi ogni volta che sali lì su?“. Kilometri e kilometri di suoni, storie ed odori sacrificati alla comodità ed al vorace desiderio di ottimizzare il tempo. Sapere come, dove e quando arrivare. Una botta di certezze. Perfettamente in linea con le nostre insicurezze.
Di contro, papà, ama l’asfalto. Le strade. Le peggio asfaltate, segnalate. Quelle che non conosce nessuno. Quelle che magari ti ci perdi e anziché farti arrivare ti portano al punto di partenza. Quelle dove il navigatore manco prende e sei costretto a chiedere alla gente. Imparandone il dialetto, la gestualità. Quelle col sole in fronte, la natura intorno e l’orologio con le lancette ferme. Quelle, che quando le imbocchi finisci col dimenticare dove vai. Ma sai esattamente dove sei.
Papà in realtà si caga sotto dell’aereo. Ama l’asfalto perchè “pe’ cciel’ e pe’ mmare nun ce stanne taverne“. Finge. E io lo assecondo. Perchè ha coraggio. E chi ha coraggio ha sempre ragione.