L’interrogativo sugli improperi (spesso decisamente oltre le righe) che vedono protagonista il centravanti polacco è uno dei tormentoni di questa prima annata targata Ancelotti. Eppure Arek, sin dal principio di questa stagione, è stato investito dello scettro di bomber da Carletto e dal presidente De Laurentiis.
Ma quali sono le ragioni del ciclico riproporsi del tormentone sulle qualità del polacco?
Le risposte sono chiare ed evidenti.
Cavani, Higuain e Mertens.
Ad eccezione delle parentesi Zalayeta e Denis, traghettatori dell’attacco azzurro da una dimensione di media classifica ad una di alta/altissima, l’attaccante del Napoli è sempre stato un diamante. Grezzo, da portar fuori come Cavani o opaco da lucidare come il Pipita. Denominatore comune, per entrambi, le stimmate del grande campione capace di infiammare lo stadio non solo con i goal ma con giocate e numeri da vero trascinatore. L’uruguagio rincorreva gli avversari sino alla propria area di rigore, faceva ripartire l’azione ed andava anche a chiuderla con efficacia. Di lui, nella mente del tifo napoletano in era ADL, si ricorda soprattutto questo. Quell’implacabile generosità capace di far calare il velo sugli errori in appoggio o in zona goal, che pure hanno accompagnato tante partite della punta di Salto. Di Higuain, i tifosi del Napoli non dimenticheranno mai i piedi da numero 10. La qualità con la quale il Pipita disegnava calcio e la cattiveria con cui, solo tre anni fa, si è preso lo scettro di re dei bomber del nostro campionato. Di Mertens, ora impegnato in una nuova e imprevedibile metamorfosi da seconda punta, niente cancellerà i colpi da genio assoluto. I pallonetti, la cattiveria nell’attaccare gli spazi e la rapidità con la quale faceva seguire ad i dribbling i destri all’incrocio o nell’angolino.
E Milik?
Milik, semplicemente, non è nessuno dei tre. E’ qualcosa di profondamente diverso per Napoli ma di molto comune nella storia del calcio. Non è un generoso, nè un dieci travestito da nove. Non è un attaccante che attacca gli spazi e nemmeno un genietto che inventa assistenze per i compagni. E’, più semplicemente, un finalizzatore. Un vero numero 9.
Come forse Napoli, da quando è tornato ai vertici del campionato italiano, non ha mai avuto.
Sembrerà assurdo ma Arek, per caratteristiche, ricorda molto di più German Denis che i suoi predecessori. Con l’argentino condivide i movimenti, l’idea di calcio e la funzione in campo: segnare. E pazienza se appare sgraziato, non pulitissimo negli appoggi ed a tratti un po’ goffo nell’uno contro uno. E’ delegato agli altri, alle sue spalle, il compito di servirlo nella maniera più pulita ed efficace possibile.
Milik non ha la sensibilità di piedi di Higuain o Mertens, non ha la fame e la generosità di Cavani, ma la scintilla del cannoniere. Sa dove farsi trovare per ribadire il pallone in rete, sempre. Sia chiaro, non si sta dipingendo un fenomeno ma un calciatore che è attaccante fino al midollo. Capace di leggere lo sviluppo del gioco, iniziarlo e magari fare il movimento giusto, dando al compagno una soluzione e a se stesso l’opportunità di gonfiare la rete. Lo dimostrano, per assurdo, i goal che qualche volta ha sbagliato facendosi trovare un secondo prima o dopo al posto giusto. Ma su questo un attaccante vero può solo e soltanto migliorare. E il Napoli lo sa. Come sa che venir fuori dalla rottura di due legamenti crociati come sta facendo il polacco è indice di una solidità mentale fuori dal comune. Caratteristica questa che lo rende più vicino a Cavani che all’odiato Higuain, di cui il tifo partenopeo non dimenticherà mai gli errori dal dischetto nelle sfide che contano.
La matematica d’altronde, dà ragione ad Arek. La media è di 0,56 goal a partita con una proiezione a fine stagione di 22 goal. Superiore ai primi due anni di Higuain ed in linea con le prime due stagioni di Cavani. Arkadiusz gioca in un gruppo che sta trovando con Ancelotti nuove certezze di squadra e, in ragione di ciò, segna meno rispetto alla straordinaria parentesi sarrista. Oggi il sinistro del polacco, secco e prepotente, vale il 30% dei goal degli azzurri. Straordinario se paragonato al 23% di Mertens della scorsa stagione (unanimamente considerata la migliore azzurra dai tempi degli scudetti) ed al 29% dello stesso belga l’anno precedente quando il Napoli mise a segno 94 goal (cifra difficilmente avvicinabile in questa stagione).
E allora perché le critiche?
Perché Milik è un vero centravanti e il tifo partenopeo non ci è (più) abituato.
Perché non è bello da vedere quanto bello è stato vedere il Napoli di Maurizio Sarri e cambiare, abituarsi al nuovo, è da sempre ed in ogni campo, faticoso. Specie se passi dall’estetica alla brutale efficacia. E anche su questo, forse, toccherà a breve ricredersi. Perché certi calci piazzati o tremende mazzate che si infilano dritte all’incrocio dei pali sono anch’esse qualcosa di incredibilmente entusiasmante.
Perché le voci sui grandi nomi internazionali (Cavani & Co.) distorcono la visione di chi lo dovrebbe soltanto sostenere. Se ci si limitasse a guardarlo per quello che è, non si potrebbe fare altro che riconoscerne le qualità.
A Milik, così come in ogni storia d’amore appena nata, andrebbe data l’opportunità di essere valutato per le sue qualità, svincolandolo dal peso dei paragoni con amori passati. Unici, irripetibili. Come unico potrebbe essere quello con Arek. Che nonostante tutto, il suo posto al centro dell’attacco azzurro, se lo sta conquistando partita dopo partita. Facendo slalom tra critiche e sfortuna. Alla faccia di chi dice che non è in grado di dribblare…